Cena fuorilegge nel ristorante Archeopark

di Paolo Baldi
Uno scorcio dell’Archeopark di Darfo Boario
Uno scorcio dell’Archeopark di Darfo Boario
Uno scorcio dell’Archeopark di Darfo Boario
Uno scorcio dell’Archeopark di Darfo Boario

Le regole del gioco sono cambiate da molti anni, dal 1992 per l’esattezza, e in tempi più recenti il divieto di un utilizzo a fini commerciali della selvaggina è stato ulteriormente ribadito, chiudendo anche e finalmente i canali di approvvigionamento dall’estero sfruttati per molti anni, attraverso un potenziamento della legge quadro 157 che l’aveva introdotto già dal 1992; eppure c’è ancora chi ci prova a servire ai tavoli di un ristorante la polenta e uccelli; oppure lo spiedo preparato anche con esemplari di avifauna. NON È STRANO vista l’allergia di tanti bresciani verso il tema della tutela della fauna selvatica, ma stavolta l’ennesimo caso portato alla luce, e sanzionato, ha avuto una cornice davvero speciale: la cena «preistorica» si doveva tenere venerdì sera nella cornice del ristorante «Archeopark» di Darfo Boario, collocato nell’ormai storica e conosciutissima ricostruzione di un villaggio dell’età del Rame inventata molti anni fa dall’altrettanto noto archeologo Ausilio Priuli. Non è una bella notizia e neppure una bella pubblicità per una realtà prestigiosa che ospita durante l’anno importanti eventi scientifici e fiumi di turisti e di scolaresche a caccia di informazioni e suggestioni. A rovinare i piani del ristoratore, il quale ingenuamente aveva pensato bene di promuovere la cena da età della Pietra utilizzando Facebook, sono arrivati ben prima dei clienti i carabinieri forestale della stazione di Breno. La cena ovviamente è saltata, perché perquisendo il locale i militari hanno trovato e ovviamente sequestrato una cinquantina di esemplari di tordo e di cesena già spiumati e pronti per essere cucinati. NONOSTANTE la promozione social dell’evento di Ognissanti le adesioni alla tavolata non erano state molte; anzi, e l’ulteriore «delusione» il ristoratore denunciato l’ha incassata quando ha scoperto che la sua iniziativa sarebbe stata sanzionata sia sul piano penale, sia su quello amministrativo. Nel primo caso per la violazione della citata legge nazionale che vieta la commercializzazione di tutti gli esemplari di fauna selvatica con le eccezioni del fagiano, del colombaccio, del germano reale e della pernice rossa e di Sardegna; nel secondo perché, acquistando prevedibilmente in nero gli uccelli da qualche cacciatore, ha violato le norme relative alla tracciabilità degli alimenti, esponendosi a una sanzione che spazia da 750 a 4.500 euro. •

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