Padre Mometti in Amazzonia moltiplica i pesci per i poveri

di G.Z.
Padre Gianni Mometti  durante un incontro con  Papa FrancescoIl missionario   in Amazzonia
Padre Gianni Mometti durante un incontro con Papa FrancescoIl missionario in Amazzonia
Padre Gianni Mometti  durante un incontro con  Papa FrancescoIl missionario   in Amazzonia
Padre Gianni Mometti durante un incontro con Papa FrancescoIl missionario in Amazzonia

Fare dell’Amazzonia il granaio dei poveri, non un altro deserto. È il sogno di padre Gianni Mometti, 80 anni, salesiano di Bornato che dal 1959 opera in America Latina, dove sta diffondendo, dopo averne sperimentato la validità, il progetto «Nuovo Mosè». «Un prete ribelle, che non ha mai avuto un rapporto facile con le gerarchie della Chiesa, tranne che con papa Francesco»: così lo ha definito, presentandolo alla stampa, a Sassabanek, Tino Bino, suo compagno di banco in quinta elementare, a Iseo. «Mi ha ispirato il nostro lago - ha esordito padre Gianni-: l’acqua può sfamare il miliardo e 700mila di persone che non hanno cibo al mondo. Come Mosè è stato salvato dalle acque del Nilo, così l’Amazzonia può essere il nuovo Nilo che salva dalla povertà». IL PROGETTO MOSÈ viene realizzato sui terreni demaniali che fiancheggiano i corsi d’acqua del Rio delle Amazzoni. Una ruspa scava un laghetto di un ettaro, che viene seminato a riso e diventa, nella parte più bassa, rifugio dei pesci. Questo «modulo» viene completato con una porcilaia con 20 maiali. «Un ettaro disboscato e lasciato a pascolo produce 250 kg di carne l’anno, mentre dal nostro laghetto di un ettaro si ricavano nello stesso lasso di tempo 15 tonnellate di riso e 18 tonnellate di pesce, senza contare la porcilaia», ha spiegato padre Gianni. NEGLI ANNI ’60, l’Amazzonia, che è ricompresa in 8 nazioni, era un oceano di verde. Poi si sono costruite strade ed è cominciata la deforestazione. «Finora si è distrutto il 20 per cento dell’Amazzonia: a vederla dall’aereo, sembra colpita dalla lebbra - racconta padre Gianni, dal 1972 responsabile di un lebbrosario a Igarapé-Açù, nello Stato del Parà -. Una situazione ancora recuperabile. Il punto è che, di questo passo, fra 50 anni, senza l’Amazzonia, che produce il 30 per cento dell’ossigeno presente nell’atmosfera, non si vivrà più. Noi tutti siamo debitori dell’Amazzonia e dobbiamo in qualche modo onorare questo debito». Le multinazionali, a sentire il missionario bornatese, hanno invaso l’Amazzonia per mettere sul mercato soia, legumi e carne. Stanno addirittura copiando il progetto Mosé per farne un business. «Il nostro, comunque, è un modello alternativo, perché non abbattiamo nemmeno una pianta - insiste padre Gianni, che parla dell’Amazzonia come si parla della fidanzata -. Un modello che si può esportare in tutte le parti del mondo dove ci sia l’acqua». Fra i numerosi sostenitori di padre Gianni, c’è anche, dal 2017, Papa Francesco. Non a caso il Sinodo panamazonico del 15 ottobre 2017 ha dichiarato che l’Amazzonia va preservata. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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