Scorie radioattive a
Capriano: la bonifica
è diventata un caso

Dibattito aperto sulla gestione del  percolato delle scorie radioattive
Dibattito aperto sulla gestione del percolato delle scorie radioattive
Dibattito aperto sulla gestione del  percolato delle scorie radioattive
Dibattito aperto sulla gestione del percolato delle scorie radioattive

Alla fine una soluzione condivisa si troverà. Ma al momento ci sono posizioni divergenti sulla gestione dell’emergenza scorie radioattive stoccate a Capriano. L’allarme riguarda i fluidi prodotti dal «sudario» di materiale lasciato in eredità da uno dei più gravi incidenti industriali con sostanze al cesio. I 220 mila metri cubi di rifiuti contaminati sono stoccati nel parco del Montenetto in territorio di Capriano. Nel 1989, negli stabilimenti della Metalli Capra venne fusa una partita di alluminio contaminato dal Cesio 137, isotopo radioattivo artificiale. I residui di quella lavorazione furono stoccati nell’ex cava che l’azienda utilizzava come discarica di rifiuti industriali. Le scorie sono state messe in sicurezza agli inizi degli anni Novanta dall’Enea, che all’epoca gestiva il settore nucleare. I tecnici fecero realizzare due silos per la raccolta del percolato, ovvero il liquido prodotto dal disfacimento degli scarti. Con il fallimento dell’azienda, lo smaltimento di questi fluidi è diventato un serio problema, considerato che non viene più ritirato dall’azienda specializzata Asmia di Mortara. Il prefetto Attilio Visconti, al termine di una complessa gestazione, ha predisposto un piano per scongiurare il rischio contaminazione, accolto però con scetticismo dall’Arpa. La soluzione, frutto del lavoro di confronto di una serie di tavoli tecnici, tiene in considerazione che le cisterne del percolato sono quasi sature e le piogge autunnali potrebbero alimentare la dispersione dei fluidi tossici nell’ambiente. INSTALLATA una coppia di silos extra, Visconti ha richiesto al Cisam di Pisa - centro interforze studi applicazioni militari - un’apparecchiatura per suddividere l’acqua dai residui radioattivi che verrebbero poi isolati. L’Arpa, attraverso una lettera inviata alle istituzioni coinvolte nell’operazione ha espresso perplessità tecnico-normative. «Risulta dubbio che la soluzione proposta possa rientrare nelle procedure d’urgenza», si legge nel documento, e «non viene fornita alcuna evidenza sperimentale dell’effettiva efficacia del sistema proposto nel trattamento del percolato». Per questo Arpa propone di convocare un tavolo tecnico entro settembre. La posizione dell’Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente è finita nel mirino del M5S. «Le argomentazioni appaiono prive di fondamento e logica - spiega il consigliere regionale Ferdinando Alberti -. Sostenere che non ci sia una emergenza significa non aver capito la situazione, non capire che se non si mette in sicurezza quel sito al più presto c’è un forte rischio di contaminazione radioattiva della falda. Affrontare tutto con le normali procedure previste dal Testo Unico Ambientale significa rallentare enormemente tutta la progettazione e realizzazione della bonifica». Con una nota, Arpa ha voluto precisare lo spirito del parere trasmesso agli enti. «Abbiamo inteso mettere a disposizione le nostre competenze tecniche per contribuire a realizzare la miglior soluzione possibile, sia dal punto di vista dell’inquadramento normativo che dal punto di vista tecnico - si legge nel documento -, senza peraltro voler porre ostacoli o preclusioni di sorta al procedimento positivamente attivato dalla Prefettura. L’obiettivo condiviso è di arrivare ad una soluzione che possa fornire le più ampie garanzie sia in termini di efficacia che di sostenibilità». Quella dell’evaporatore è del resto un’ipotesi tampone in vista di neutralizzare un potenziale radioattivo superiore ai 100 Giga-bequerel, ovvero 100 mila volte sopra i limiti di legge. Secondo il piano di sicurezza redatto dall’Arcadis - società incaricata dalla Metalli Capra prima di essere travolta dalla crisi -, per disinnescare definitivamente la «bomba ecologica» servirebbe un investimento che galleggia attorno ai 5 milioni di euro, risorse che il ministero dell’Ambiente potrebbe reperire. Il «bunker» che custodisce le scorie radioattive si trova tra l’altro in una zona a rischio sismico nella traiettoria della faglia del Montenetto, circostanza che da un lato rende più complessa l’operazione. Ma il nodo resta anche quello di come inertizzare i rifiuti. La bonifica prospettata dall’Arcadis prevede di stoccare il materiale estratto dalle vasche di rifiuti affinchè non abbia contatti con l’esterno. Bisognerebbe dunque squarciare la discarica per rinchiudere le scorie in un imponente bunker che andrebbe a «soffocare» dal punto di vista paesaggistico un’area naturalistica. Impercorribile la soluzione di trasferire i rifiuti al Cesio in un sito nazionale per sostanze radioattive peraltro non ancora individuato dallo Stato. •

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