Scorie di acciaieria verso la «seconda vita»

di Cinzia Reboni
La riunione del Commissione ambientale ristretta dalla Provincia
La riunione del Commissione ambientale ristretta dalla Provincia
La riunione del Commissione ambientale ristretta dalla Provincia
La riunione del Commissione ambientale ristretta dalla Provincia

Brescia si candida a diventare un modello nel riciclo dei rifiuti. La svolta è racchiusa nell’impiego delle scorie di acciaieria come sottofondo di strade o altre opere pubbliche, in sostituzione di ghiaia e materiali di cava. La prima riunione del Comitato ristretto della Consulta per l’Ambiente e lo Sviluppo sostenibile ha dettato le tappe della strada. «Una strada - sottolinea il vice presidente della Provincia Guido Galperti - che vale la pena di percorrere con il sostegno di industriali, ambientalisti e sindacati. Abbiamo fretta: l’obiettivo è stendere un documento da sottoporre al Governo entro l’anno. Una proposta tutta bresciana con un duplice obiettivo: ridurre gli impatti ambientali dell’attività estrattiva e limitare le discariche». Sull’impiego delle scorie di acciaieria come fondi stradali «ci sono pareri discordi - ha ammesso Galperti -: ecco perché bisogna essere prudenti, e muoversi con rigore scientifico». LE PRIME risposte, sia pure parziali, sono giunte dall’Università di Brescia. «Da anni stiamo affrontando il tema del recupero dei materiali da costruzione come sostitutivi degli aggregati di cava - spiega Sabrina Sorlini del dipartimento di Ingegneria civile, territorio e ambiente - e i risultati dicono che hanno caratteristiche tecniche molto buone. Il problema semmai è quello dell’espansione, dal momento che le scorie possono generare aumento di volume, tanto che in alcuni Paesi europei è previsto prima del loro impiego uno stoccaggio di tre mesi e l’idratazione accelerata». Attraverso la collaborazione con la facoltà di Medicina «sono stati effettuati i test di cessione - aggiunge Sabrina Sorlini -, per verificare l’effetto tossico su vegetali, animali e sull’uomo e fare un confronto con gli aggregati naturali di cava. Sui 5 campioni provenienti da 4 acciaierie non sono state riscontrate tossicità, anzi l’unica leggera anomalia è stata rilevata nel materiale di cava. La campionatura è sicuramente limitata, ma è comunque indicativa. La normativa indica altri esami che al momento non sono ancora stati eseguiti, ma che sono significativi per valutare la tossicità e la genotossicità, vale a dire la capacità di alcuni agenti chimici di danneggiare l'informazione genetica all'interno di una cellula causando mutazioni nel dna di un organismo». PRUDENZA e rigore sono stati invocati da tutti. «Il principio di precauzione - afferma Agostino Pasquali Coluzzi di Legambiente - va applicato rigorosamente. Non dimentichiamo esempi del passato, come l’uso dell’amianto in edilizia e il sovrautilizzo delle plastiche. Evitiamo dunque di trovarci ancora in situazioni per le quali stiamo già pagando un prezzo altissimo». Sulla stessa lunghezza d’onda il consigliere provinciale Marco Apostoli: «L’area bresciana è vicina al collasso. Su 15 progetti di recupero ambientale approvati dal ministero dell’Ambiente, 13 sono in casa nostra. Bisogna muoversi con i piedi di piombo, non tutte le strade potranno diventare discariche. Il documento che uscirà da questo Comitato ristretto deve essere uno strumento di conoscenza e approfondimento: sarà la legge a dare precise indicazioni». Per Giulio Sesana, consulente di Ambiente e Futuro, «per utilizzare questo tipo di materiale bisogna coniugare la legge sui rifiuti con le norme di rischio per l’ambiente». Fondamentale - ha sottolineato l’Ordine degli Ingegneri - «capire la classificazione del rifiuto e la sua destinazione finale». Giacomo Senaldi del Codisa ha suggerito «più collaborazione tra chi fa analisi e accertamenti», prendendo come riferimento la pista ciclabile dell’Alfa Acciai «messa sotto sequestro tre anni fa perché realizzata con scorie di acciaieria». DAL CANTO SUO, Aib sta procedendo ad un lavoro per la standardizzazione dei campioni da sottoporre alle prove, «aspetto fondamentale affinché i dati siano omogenei - rimarca Chiara Lanzini -. Ma una volta che questi materiali verranno individuati come conformi, serve una spinta e lo sforzo di tutti per il loro utilizzo, superando anche gli ostacoli emotivi che ci fanno dire che è meglio utilizzare la materia vergine». Importante «trovare le risorse per approfondire gli studi dell’Università - incalza Pietro Garbarino di Legambiente -: i tecnici devono lavorare per indicare i limiti e le modalità di analisi del rischio, che non può essere solo un passaggio procedurale quando ci sono di mezzo le deroghe». Anche la Federazione degli autotrasportatori si sente direttamente interessata al problema, in quanto «per trasportare i rifiuti servono autorizzazioni specifiche, mezzi idonei e personale qualificato - sottolinea Andrea Arenghi, responsabile dell’ufficio Ecologia della Fai -: ci vuole chiarezza per capire se le scorie rimangono un rifiuto o se diventano altro. Dal nostro punto di vista è una gestione totalmente diversa». Quanto alla ricerca, la Regione ha assicurato che ci sono fondi dedicati, anche europei. •

Suggerimenti