«Schiavi» nei
vigneti, sgominata
la banda

di Alessandro Gatta
Il Commissariato di Polizia di Desenzano ha sgominato un giro di caporalato nel settore vitivinicolo
Il Commissariato di Polizia di Desenzano ha sgominato un giro di caporalato nel settore vitivinicolo
Il Commissariato di Polizia di Desenzano ha sgominato un giro di caporalato nel settore vitivinicolo
Il Commissariato di Polizia di Desenzano ha sgominato un giro di caporalato nel settore vitivinicolo

Li facevano lavorare dall’alba al tramonto con una paga da pochi euro l’ora, quasi senza sosta in mezzo ai vigneti a raccogliere l’uva per la vendemmia, costretti pure a pagare cinque euro per il trasporto: a gestire una quindicina di profughi coinvolti nell’ennesima e triste vicenda di sfruttamento erano tre cittadini indiani, due uomini e una donna regolari sul territorio italiano, che avevano costituito una vera e propria società che si occupava di offrire forza lavoro a prezzi modici, fin troppo, a varie aziende vitivinicole del territorio gardesano. UNA STORIA di capolarato smascherata e sgominata dal Commissariato di Polizia di Desenzano, in collaborazione con i carabinieri del Nil, il Nucleo ispettorato del lavoro: i richiedenti asilo sono stati sfruttati lo scorso autunno, da settembre a novembre, prelevati tutte le mattine sulla Provinciale e poi riportati a casa la sera, nel Centro di accoglienza straordinaria che era allestito a Desenzano, in località Pergola tra Rivoltella e San Martino (e che poi è stato chiuso, ma questa è tutta un’altra storia). A far scattare le indagini il sospetto assembramento di richiedenti asilo che appunto tutte le mattine da settembre si radunavano sulla Provinciale, non lontano dal Centro di accoglienza, e poi venivano caricati sui furgoni dai «caporali», e trasportati nelle campagne dove poi lavoravano alla vendemmia. I lavoratori, scrive il Commissariato in una nota, lavoravano dalle 8 alle 10 ore al giorno, con una pausa di soli 30 minuti per il pranzo, contrariamente a quanto stipulato nei contratti dichiarati, dove erano registrate solo poche ore di lavoro. Non solo: le indagini hanno fatto emergere «una retribuzione in palese difformità con quanto previsto dai contratti collettivi nazionali o territoriali», e che addirittura veniva «imposto il pagamento di una somma di denaro sotto forma di rimborso per le spese sostenute per il trasporto». I tre indiani sono stati tutti denunciati alla Procura per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, articolo 603 bis del Codice penale: tutti e tre residenti nel Bresciano, erano riusciti a costituire una «rodata organizzazione» appunto specializzata nel reclutamento di giovani stranieri, in difficoltà economiche, «allo scopo di avviarli a svolgere lavori manuali agricoli in aziende vitivinicole del Garda, approfittando del loro stato di bisogno e in condizioni di sfruttamento». A capo dell’organizzazione c’era la donna, mentre i due uomini si occupavano del lavoro sporco: reclutavano i profughi, direttamente al Centro d’accoglienza, li trasportavano sui luoghi di lavoro, li controllavano a vista durante le giornate in mezzo ai campi. Per le aziende agricole coinvolte nessuna responsabilità penale, ma una contestazione di tipo amministrativo per violazioni in materia previdenziale. È bene ricordare, infine, che il centro profughi è stato chiuso prima della fine dell’anno, a seguito delle segnalazioni arrivate in Comune sulle condizioni della struttura, ma che la cooperativa che lo gestiva (la Olinda di Medole) è risultata totalmente estranea ai fatti di sfruttamento. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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