«Cianci libero
oltraggia
la memoria»

di Claudia Venturelli
La corona d’alloro deposta in occasione della  commemorazione
La corona d’alloro deposta in occasione della commemorazione
La corona d’alloro deposta in occasione della  commemorazione
La corona d’alloro deposta in occasione della commemorazione

A Darfo la ferita non si è mai rimarginata. Ma l’altra sera ha ripreso a sanguinare rendendo lancinante il dolore di una famiglia e di una comunità. Antonio Cianci sembrava finito nell’oblio. Il responsabile dell’omicidio di tre carabinieri quarant’anni fa, per tutti stava scontando l’ergastolo nel carcere di Opera. Invece grazie a un permesso premio sabato è uscito di cella ferendo con un taglierino alla gola un anziano durante un tentativo di rapina in un parcheggio di Milano.


AL NETTO DELLE polemiche politiche scatenate dalla «libera uscita» dal carcere concessa ad un individuo che a soli 15 anni aveva già ucciso una persona, Darfo è sotto shock. Tra i militari freddati a colpi di pistola il 9 ottobre 1979 da Cianci c’era Federico Tempini di Darfo, militare a Melzo, nel milanese. Con l’appuntato camuno a cadere sotto i colpi furono anche il maresciallo Michele Campagnuolo e Pietro Lia che avevano fermato la Fiat 500 di Cianci che al processo di primo grado venne condannato all'ergastolo, pena confermato in appello e in Cassazione. Il massacro dei militari non era stato la prima azione da killer spietato per Cianci. Già cinque anni prima aveva ucciso Gabriele Mattetti, un metronotte di 29 anni. La vittima fu colpita prima alle spalle e, una volta a terra, fu finita con due proiettili al viso e uno al cuore. Infine, l’assassino gli rubò l’arma ritrovata nello schienale di una poltrona del soggiorno di casa del criminale. Per quell’omicidio Cianci rimase in cella 5 anni. «Una ferita ancora aperta, un dolore che si rinnova», commenta la sorella di Federico Tempini Donatella che, con gli altri parenti, pochi giorni fa aveva commemorato a Melzo, sul luogo dell’eccidio, la ricorrenza della morte. Era stata l'occasione per incontrare anche i parenti delle altre due vittime, che come Federico, hanno subito la follia di Cianci che sabato sera, fermato a Cascina Gobba con le mani ancora sporche di sangue e il portafoglio dell'anziano accoltellato in tasca, non ha opposto resistenza ai militari che lo hanno riaccompagnato in carcere a Bollate. Nel 2012 Darfo ha intitolato a Federico Tempini la piazzetta antistante il centro commerciale di Boario. Una targa, posta su di una colonna, insieme alla corona d’alloro deposta per il 40esimo dalla tragedia, ricorda il suo nome e testimonia una pagina triste della storia d'Italia. Proprio in nome di quel ricordo a Darfo ieri è stata una giornata di dolore. Che ha riportato a galla non solo i ricordi, ma anche «tutta la rabbia per una vicenda assurda - rimarca Donatella Tempini -. La cosa che mi ha amareggiato di più è stato che in quarant’anni questo individuo non abbia avuto modo di ravvedersi, di rendersi conto di cosa ha fatto. Pensare che fosse libero è uno sfregio alla memoria di mio fratello, così come per i cari delle famiglie che abbiamo ritrovato per la commemorazione proprio domenica scorsa». Che il permesso premio di Cianci «sia come aver ucciso una seconda volta i carabinieri», è un concetto espresso anche dai familiari delle altre vittime. «Sono sconvolta dal fatto che si sia permesso a questo essere ignobile, che massacrava senza pietà, di mettere un’altra famiglia in condizioni di dolore, calpestando e oltraggiando, tra l’altro, ancora la memoria di mio padre e dei suoi colleghi» afferma Daniela, figlia di Pietro Lia.

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