La Valle
dell’Oglio brinda
al vino ritrovato

di Riccardo Caffi
Uno dei vigneti innestati a Borgo San Giacomo e Acqualunga
Uno dei vigneti innestati a Borgo San Giacomo e Acqualunga
Uno dei vigneti innestati a Borgo San Giacomo e Acqualunga
Uno dei vigneti innestati a Borgo San Giacomo e Acqualunga

Mimetizzate nella «giungla» di mais, due piccole vigne sperimentali che occupano ciascuna circa un ettaro di terreno annunciano il ritorno del vino nella valle del fiume Oglio.


IN POCHI MESI le piantine sono cresciute rigogliose e hanno dato i primi grappoli, confermando che la valle fluviale è terra di vino, come del resto testimoniano carte e mappe dei secoli scorsi fino al tramonto della civiltà contadina. Tra un anno è attesa una vendemmia abbondante, per la produzione a basso costo di vino da tavola di qualità. Sarà un vero e proprio ritorno alle origini. I due vigneti sperimentali, entrambi in territorio di Borgo San Giacomo, uno nel fondo argilloso della cascina Bina, vicino al capoluogo, e l’altro a 6 chilometri di distanza, ad Acqualunga, nel terreno sabbioso della cascina Fenil Cuore, vicino alla sponda del fiume, concretizzano il progetto di sostegno al territorio nato da un’idea della Cassa Rurale e Artigiana di Borgo San Giacomo e portato avanti con la collaborazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e dell’Iis «Dandolo» di Bargnano, titolare dell’autorizzazione rilasciata dalla Direzione Generale Agricoltura, Alimentazione e Servizi Verdi della Regione Lombardia. Istituto di credito, scuola, università insieme scommettono sulla possibilità di riconvertire la monocoltura dominante e stringono un patto per la tutela e la valorizzazione del territorio della Bassa.


L’IMPIANTO SPERIMENTALE della vite nella valle dell’Oglio è stato presentato ieri alla cascina Cuore di Acqualunga da Sergio Bonfiglio, presidente della Cra di Borgo San Giacomo, Stefano Poni, dell’Università Cattolica di Piacenza, Giacomo Bersini, dirigente scolastico dell’Istituto Dandolo di Bargnano e dallo storico Gian Mario Andrico. «L’antico tesoro della vite è di nuovo a nostra disposizione – constatano i promotori dell’iniziativa -. Immaginare tra qualche anno, accanto alla coltura del mais, alla ripresa già in corso della coltivazione degli orti, di rivedere in pianura filari ordinati di vite e cantine ricolme di vino non è più frutto della fantasia né economica, né paesaggistica. D’altro canto, se ci guardiamo intorno, a pochi chilometri dalla Bassa, l’industria del vino è diventata componente importante dell’economia bresciana». L’analisi del clima di pianura caldo e umido, lo studio dei terreni sabbiosi in prossimità dell’Oglio e più argillosi man mano ci si allontana dal fiume, la scelta dei vitigni da sperimentare sono stati affidati al professor Stefano Poni, docente di viticoltura all’ateneo piacentino. Sono stati messi a dimora vitigni di Barbera, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Marzemino, Merlot, Syrah, con due portinnesti ciascuno che consentiranno quindi 12 microvinificazioni. Si è trattato insomma di potpourri selezionato con rigore scientifico. «È possibile puntare alla produzione fortemente meccanizzata di uva rossa, conciliando basso costo, quantità e qualità», assicura Poni. Il vigneto con 6 vitigni e 2 portinnesti diventa una palestra anche per docenti e studenti del Dandolo che si occuperanno della potatura e della raccolta delle uve e seguiranno, insieme all’università, la maturazione del vino.

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