La civiltà contadina e le notti della «Ìla» Lo storico racconta

di C.VEN.

Un viaggio sulle tracce di una civiltà, quella contadina, che se n’è andata per sempre. È quello di Francesco Inversini, storico locale autore del libro «La ìla», in dialetto camuno, la veglia che si teneva nelle stalle nelle lunghe sere d'inverno. Era quello, nel secondo dopoguerra, il luogo in cui ci si riuniva per parlare, eseguire i piccoli lavori domestici e raccontare storie. Un luogo che il volume, edizione del circolo culturale Ghislandi, prova a farci ricordare o, ai più giovani, conoscere. «Soprattutto nelle stalle più grandi - ricorda l’autore - c’erano le panche dove chi non aveva la stalla chiedeva ospitalità. Le donne filavano, i bambini giocavano, gli anziani, soprattutto dopo le guerre, raccontavano le loro vicende e si mangiucchiava qualcosa. Le stalle più fortunate avevano anche i narratori e ce n’erano di molto bravi che di tanto in tanto raccontavano queste storie». La paura la grande protagonista di questi racconti arrivati fino a noi grazie alla tradizione orale su cui lo stesso Inversini ha fatto affidamento. «Ci sono tanti episodi che si rifanno alla pedagogia della paura. Un sentimento che torna spesso in questi racconti, come quello in cui la mamma uccide il suo bambino e lo cucina e poi chiede alla sorellina di portare da mangiare al papà che sta lavorando nel bosco». Un vero salto indietro nel tempo quello di Inversini, che dopo aver catalogato i portoni di Borno si occupa delle storie camune, «nel tentativo di lasciare un ricordo di questa civiltà che ormai è persa e non ritornerà». Dentro anche i soprannomi delle famiglie, tipici ma soprattutto necessari, e gli scherzi, su cui Inversini si sofferma raccontandoli paese per paese: «A Borno, per esempio, quando due fidanzati si lasciavano, specie se era lei a lasciare lui, sui portoni venivano disegnati dei pitoti e sotto la scritta “cica”, ovvero prendi su e porta a casa». Una scelta che va nella direzione di fare memoria quella del libro e del suo autore che ha fatto un lavoro da tramandare, «i materiali dialettali sono stati tutti registrati e trascritti per lasciare un documento». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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