«Non cerco
un colpevole,
ma voglio capire»

di Valentino Rodolfi
L’ipotesi, non confermata, è che il ragazzo fosse vittima di cyberbullismo: trascorreva ore e ore in reteJonathan Furegon: aveva 18 anni
L’ipotesi, non confermata, è che il ragazzo fosse vittima di cyberbullismo: trascorreva ore e ore in reteJonathan Furegon: aveva 18 anni
L’ipotesi, non confermata, è che il ragazzo fosse vittima di cyberbullismo: trascorreva ore e ore in reteJonathan Furegon: aveva 18 anni
L’ipotesi, non confermata, è che il ragazzo fosse vittima di cyberbullismo: trascorreva ore e ore in reteJonathan Furegon: aveva 18 anni

La sua ultima pagella era stata pubblicata sul giornale in giugno fra le più belle, fra le «pagelle d’oro»: 8 in chimica, 8 in italiano, 8 in storia, una sfilza di 7, un 9 in condotta che poteva essere un 10 perché Jonathan era un angelo. È un angelo. Adesso lo è davvero ed è proprio con queste parole, «è volato in cielo il nostro angelo», che la mamma Mariluz e il papà Vittorio Furegon spiegano al mondo che cosa è successo.

LO SPIEGA con parole differenti il medico legale: causa del decesso soffocamento. Una corda al collo, mentre il ragazzo era da solo, chiuso nella sua cameretta, in casa, lunedì sera, a Colombare di Sirmione: così lo hanno trovato i genitori e la parola dolore è troppo poco. Il dolore passa. Una tragedia finisce. Ma perdere così un figlio di appena 18 anni è un mistero che né i dottori né gli angeli possono spiegare. Forse i carabinieri. Forse. Perché forse, forse, non è solo un dramma privato la tragica morte di Jonathan Furegon, lo studente modello dell’istituto agrario Dandolo di Lonato che in giugno, promosso in quarta, ammirava soddisfatto la sua «pagella d’oro» sul giornale, che solo due settimane fa, il 27 novembre, aveva festeggiato il suo diciottesimo compleanno e che lunedì sera è stato trovato con quella corda al collo. Ora saranno i carabinieri a cercare di capire se si possa escludere, o confermare, un terribile sospetto: bullismo.

I MILITARI della stazione di Sirmione hanno sequestrato il telefonino e il computer di Jonathan, per capire con chi fosse in contatto, con quali rapporti, con quali parole e forse, forse, con quale invisibile ma tagliente violenza certe parole arrivassero a Jonathan da non si sa chi, in qualche chat o su qualche social. «Io non cerco colpevoli, ma voglio capire che cosa è successo al mio bambino», spiega la mamma, Mariluz. Nella sua voce al telefono, leggera, leggerissima, non c’è un’ombra di collera ma solo quel bisogno di capire: «Come madre devo capire. Sono andata in caserma a deporre, ho raccontato tutto quello che potevo raccontare. Non ho sospetti su nessuno e nessuno da accusare. Ma non posso perdere un figlio così, senza chiedermi il perché». I carabinieri non indagano senza motivo. «Il mio bambino aveva avuto dei problemi, nello scorso anno scolastico, con dei ragazzi che gli facevano degli scherzi. Così li chiamava, scherzi: scrivevano dei cartelli per prenderlo in giro, gli lanciavano le matite. Non mi raccontava altro e sembravano cose innocenti, cose che si fanno fra ragazzi, ma lo vedevo soffrire. Soffrire tanto».

QUEI PROBLEMI a scuola da qualche tempo sembravano risolti: la mamma si era rivolta al dirigente scolastico e al consiglio d’istituto, la scuola aveva risposto bene, aveva protetto quel ragazzo di animo gentile, troppo buono, troppo tenero di cuore per non diventare un bersaglio. Troppo indifeso per poter essere abbandonato senza un aiuto. Così la scuola lo aveva difeso, e gli «scherzi», almeno a scuola, erano finiti. Ma non il suo tormento. «Quest’anno, quando ogni giorno ritornava da scuola - racconta la mamma - non mi parlava più di problemi con gli altri ragazzi. Nessun episodio. Neanche minimo». Il tormento di Jonathan si era come smaterializzato. Ma non era scomparso. Si era solo trasferito in un’altra dimensione: «Negli ultimi mesi - ricorda la mamma - aveva un rapporto ossessivo con il cellulare. Passava ore e ore sullo smartphone, ore e ore sul computer». Sono questi gli strumenti che i carabinieri hanno voluto acquisire ed esaminare: aprire quella scatola e guardare che cosa c’è dentro, chi c’è dentro. «Ma nessuno accusa nessuno, preferisco pensare che mio figlio non avesse nemici ma solo amici». L’ipotesi del cyberbullismo è tutta da verificare. La realtà è che Jonathan non c’è più, che in casa si recita il Rosario, che oggi alle 15 ci sarà un funerale: la messa nella chiesa di San Francesco a Colombare, poi il momento più difficile, al cimitero di Sirmione. «Vorrei tanto - dice la mamma - che al funerale venissero i suoi compagni, tutti i ragazzi che lo conoscevano, a salutarlo come un amico. Jonathan era timido, per lui era difficile farsi degli amici. Ma io so che più di ogni altra cosa lui desiderava questo: avere degli amici».

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