La sperimentazione animale va al rilancio

di P.BAL.
Un momento del seminario di GargnanoL’evento è stato ospitato da Villa Feltrinelli
Un momento del seminario di GargnanoL’evento è stato ospitato da Villa Feltrinelli
Un momento del seminario di GargnanoL’evento è stato ospitato da Villa Feltrinelli
Un momento del seminario di GargnanoL’evento è stato ospitato da Villa Feltrinelli

Il 46 per cento dei sostenitori dell’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, ha detto no alla sperimentazione animale; salvo poi lasciare spazio a un cambio di posizione (nel 59 per cento dei casi) a fronte di una spiegazione convincente della necessità di questa pratica. Lo afferma un sondaggio fatto dalla stessa Airc, una delle realtà che, ieri a Gargnano, nella sede distaccata dell’Università degli studi di Milano, ha animato un convegno da cui sono emerse una considerazione e una realtà: per sostenere la validità del «modello animale» bisogna fare informazione capillare a partire da scuole e università, e i sostenitori si stanno già attrezzando. ALLESTITO col sostegno dell’Istituto zooprofilattico, il seminario è stato curato da Research 4 life, un sorta di «santa alleanza» farmaceutica che raccoglie associazioni, istituti di ricerca, fondazioni e industrie, e senza affrontare (almeno nella giornata di ieri) il nodo centrale etico-scientifico del sì o del no, ha approfondito appunto problemi e opportunità della comunicazione. Di quella comunicazione che, per dirla con Annarita Wirz, portavoce di «Spera», altra aggregazione di ricercatori, associazioni e aziende di settore, deve ribadire che «bisogna ancora usare il modello animale. Non si può fare tutto in vitro». «Trovando la parole giuste è possibile ricordare che è necessario avere a disposizione un modello complesso, vivo, per verificare effetti, meccanismi e comportamenti in relazione a un trattamento», ha aggiunto Wirz presentando i numericamente crescenti interventi che i ricercatori aggregati a Spera stanno facendo, per ora solo a Roma, spiegando anche la sperimentazione animale a migliaia di bambini delle scuole elementari. L’obiettivo è quello di smontare la genesi di comportamenti come «l’obiezione di coscienza negli studenti universitari», che secondo Arianna Russo, veterinaria, «sembra soprattutto una moda. Oggi il bagaglio culturale dei veterinari è carente a proposito dei temi bioetici, che in realtà riguardano tutti». È la stessa convinzione di Giuseppe Di Bella dell’Associazione Luca Coscioni, che ha sviluppato il concetto della divulgazione scolastica presentando un progetto di alternanza scuola-lavoro che, anche in questo caso, tra tanti temi (testamento biologico, ogm e cannabis terapeutica tra le altre cose) affronta appunto anche la sperimentazione sugli animali nel nome del «diritto dell’uomo alla scienza e della libertà di ricerca scientifica». Col progetto «scolar-mente», la Coscioni è riuscita addirittura a far avallare a un gruppo di studenti un progetto di ricerca su esseri viventi teorico elaborato seguendo l’iter autorizzativo da affrontare per un piano vero. Sembra insomma che il mondo degli stabulari e dei ratti geneticamente modificati stia guadagnando posizioni: lo ha sottolineato anche Giuliano Grignaschi, segretario generale e portavoce di Research 4 life, ricordando con soddisfazione alla platea che «dieci anni fa non avremmo trovato nessuno per discutere in un seminario di come andare a parlare di sperimentazione animale nelle scuole». LO STA FACENDO anche il colosso Airc che raccoglie donazioni da investire nella ricerca. Lo ha spiegato per l’associazione Anna Franzetti, ricordando però prima «quel 2014 anno cruciale per la ricerca, segnato da disagio e imbarazzo e dal timore per un crollo dell’attività scientifica». Il 2014 è l’anno del recepimento italiano di quella direttiva europea sulla sperimentazione animale che indica questa attività come ultima soluzione dopo i modelli alternativi. Da allora la ricerca non si è fermata, neppure quella su ratti, cani e scimmie, e anche l’Airc la sta promuovendo (la seconda) nelle scuole e nelle università. Finora i ricercatori legati a questa sigla hanno incontrato centomila ragazzini nelle scuole primarie trovando un terreno fertile fatto di sensibilità ma anche di curiosità senza pregiudizio, e ora è partito anche «Aircampus»: un progetto mirato che ha coinvolto quattro università. Ma non è sempre semplice: «Abbiamo incontrato resistenze al nostro ingresso nelle scuole; a volte persino dagli insegnanti di scienze». Forse perché sono i più preparati in materia? •

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