L’ex fabbrica del ghiaccio comincia a perdere i pezzi

di S.Z.
L’ex fabbrica del ghiaccio
L’ex fabbrica del ghiaccio
L’ex fabbrica del ghiaccio
L’ex fabbrica del ghiaccio

L’ex fabbrica del ghiaccio di Salò ha chiuso più di 40 anni fa, e adesso comincia a perdere i pezzi. È crollata una parte del tetto, e la Polizia locale ha dovuto intervenire per delimitare l’area al passaggio dei pedoni. Anche l’ufficio tecnico comunale sta monitorando la situazione. Sono ancora numerosi gli edifici che, dopo il terremoto del novembre 2004, non sono stati sistemati, e rappresentano una minaccia per i passanti, a cominciare dall’ex casa Eca, tra via Trieste e via Gasparo. La fabbrica, in passato dei Pescarin, e ora della famiglia Rebusco, è situata proprio sul lungolago, nel quartiere delle Rive. Abbandonata e fatiscente, ha chiuso da più di 40 anni, e chissà che futuro avrà. Da tempo attende di conoscere la sua destinazione. C’è chi invita a riconvertila in un residence, e chi in albergo. Non mancano coloro che vorrebbero fosse recuperata come luogo di archeologia industriale. «È una struttura degli anni 50, con tetto a punta, travi in legno, copertura in coppi» rammenta il ricercatore Nerino Mora. I clienti si avvicendavano all’acquisto del ghiaccio, le commesse al banco erano sempre indaffarate. C’era anche un’ampia zona per i trasporti più voluminosi, su camion o carri agricoli, trainati dai buoi. Le stecche venivano avvolte in coperte di lana, per poterle maneggiare con una certa facilità, proteggerle dalla temperatura esterna, e anche per non congelarsi le dita. Qui iniziava un percorso che si concludeva in una trattoria, un bar (per confezionare le granatine) o in una abitazione privata. «Da bambino andavo a comperarne un pezzo - ricorda Mauro Marini -. Lo portavo a casa dentro un sacchetto di iuta. Di solito spendevo 25 lire. L’impiegata rilasciava una ricevuta scritta a mano. Delle schegge che si staccavano quando il ghiaccio veniva tagliato con un uncino di ferro a volte me ne regalavano un pezzettino da succhiare. Il residuo della lavorazione scaricava a lago un’acqua freddissima, e alcuni bagnanti mettevano davanti al tubo l’anguria, le bottiglie delle bibite fatte con le cartine, la frutta nei cestini». •

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