Legionella, rabbia e sfiducia per l’epidemia senza un perché

di Valerio Morabito
Matteo Borra incoraggiato dagli amici durante la convalescenza
Matteo Borra incoraggiato dagli amici durante la convalescenza
Matteo Borra incoraggiato dagli amici durante la convalescenza
Matteo Borra incoraggiato dagli amici durante la convalescenza

C’è un filo rosso che collega i miasmi di Vighizzolo seguiti da ricoveri ospedalieri e l’epidemia di polmonite e legionella che si è scatenata a settembre nella Bassa. Forse esiste anche un legame diciamo così batteriologico, ma di certo c’è il comune denominatore del dubbio, delle risposte mancate. Due anni fa nessuno aveva chiarito la causa del tanfo insopportabile che aveva spedito all’ospedale scolari e maestre della scuola elementare Papa Giovanni XXIII. E le risposte non ci sono neppure a margine della nuova e ben più ampia emergenza: a oltre tre mesi non si sa sostanzialmente nulla dell’allarme sanitario scoppiato nella Bassa orientale e che ha coinvolto sette Comuni inseriti nella «zona rossa», Montichiari, Carpenedolo, Calvisano, Remedello, Isorella, Acquafredda e Visano. Uno stallo che ha provocato disillusione e insieme rabbia nelle persone che hanno vissuto la paura e le conseguenze. Tra queste c’è Matteo Borra, un 29enne di Roe Volciano che lavora in un’azienda di rottami a Castenedolo. «Spero trovino la causa, perché se dovesse succedere a un bambino o a un anziano non so come andrebbe a finire», afferma il giovane operaio che sta vivendo un’odissea dopo essere stato contagiato dalla legionella. «MI SONO ammalato all’inizio di settembre - racconta - e sono stato sottoposto a un intervento chirurgico ai polmoni a Gavardo per via di una complicazione legata all’infezione. Poi mi hanno trasferito a Monza, dove sono rimasto in coma farmacologico fino al 24 settembre. In seguito - aggiunge - mi hanno spostato a Villa Barbarano, a Salò, e proprio lì ancora oggi sto facendo fisioterapia per la riabilitazione». Sì, perché durante il lungo coma indotto Matteo Borra ha subito un serio deterioramento delle caviglie e ancora oggi fatica a camminare. «I medici mi hanno detto che ne avrò ancora per 6-8 mesi, e nel frattempo cammino con l’aiuto delle stampelle e di tutori che si allacciano alle scarpe». COME è ovvio il caso del 29enne di Roe Volciano è finito sotto la lente dell’Ats, che ha svolto controlli sia nell’abitazione sia nell’azienda in cui lavora, e in entrambi i casi la ricerca della legionella non ha prodotto alcun risultato. Nel bollettino di quelle settimane c’era anche il nome di Giampiero Pini, il 57enne di Carpenedolo dipendente delle Poste che aveva contratto una forma particolarmente aggressiva di legionella ed era stato ricoverato al Niguarda di Milano. «Non credo che verrà mai a galla la causa dell’epidemia - sostiene Pini -, ed è strano visto che la situazione ambientale del nostro territorio è compromessa». Da qualche giorno l’ex malato è tornato a lavoro in quell’ufficio postale rimasto chiuso per svolgere le analisi e nel quale, a quanto pare, sarebbe stata trovata traccia del batterio in uno dei bagni. Tra le famiglie che hanno subito un lutto c’è invece la Belli di Calvisano, prostrata dalla morte di Guglielmina Castelletti, una 69enne di Mezzane. Anche in questo caso la diagnosi, confermata dall’autopsia, è stata legionella. «Stiamo attendendo una risposta dalle istituzioni - ricorda Stefano Belli -; almeno un cenno su ciò che ha creato questo problema. Sono deluso dal comportamento delle istituzioni, completamente assenti». Tra i colpiti dall’epidemia c’è anche Tiziano Terlato, pensionato 58enne di Calvisano: «Spero che trovino la causa, ma sono scettico. Mi sono ammalato il 3 settembre - racconta - e sono andato al pronto soccorso a Montichiari. Poi mi hanno ricoverato per 6 giorni nel reparto infettivi del civile di Brescia». Infine un caso particolare. Quello di Patrizio Scarpa, un 57enne sardo originario di Villaperuccio che a luglio era in Lombardia per lavoro. «Mio marito si è spostato in varie aziende dal 26 luglio a metà agosto. Arcore, Varese e Lonato - spiega la moglie Pina Pintus -. Nell’azienda bresciana è rimasto per 3 giorni, poi si è ammalato ed è stato ricoverato per legionella nell’ospedale di Zingonia. Oggi non può ancora lavorare: sta pagando le conseguenze della malattia. Abbiamo chiesto alle ditte in cui ha lavorato analisi specifiche ma ancora non ci hanno risposto». •

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