La Cassazione:
«Beagle uccisi
senza necessità»

di Cinzia Reboni
Una delle fotografie più conosciute della vicenda dei Beagle
Una delle fotografie più conosciute della vicenda dei Beagle
Una delle fotografie più conosciute della vicenda dei Beagle
Una delle fotografie più conosciute della vicenda dei Beagle

Sottoposti a «pratiche insopportabili» come la tatuatura con aghi e tagli delle unghie dolorosi, con rottura dei vasi sanguigni. E poi cuccioli soffocati dalla segatura e beagle curabili «uccisi senza necessità», anche mediante eutanasia, per contenere i costi aziendali. I cani nati per... morire nei laboratori di ricerca, a Green Hill erano sistematicamente condannati alla sofferenza. Quello di Montichiari era un allevamento-lager.

LO SOSTENGONO i giudici della Cassazione nelle motivazioni della sentenza che il 3 ottobre ha confermato e reso definitive le pene a complessivi 4 anni di reclusione per il direttore Roberto Bravi, il veterinario aziendale Renzo Graziosi e Ghislaine Rondot, cogestore di Green Hill, dove almeno 2.639 beagle sono stati sottoposti a «comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche e sottoposti a deprivazione sensoriale», scrive la suprema corte. La situazione drammatica in cui vivevano i beagle, in attesa di diventare cavie da laboratorio, secondo la Cassazione era dovuta «a precise e consapevoli scelte decisionali di violazione delle corrette regole di tenuta dell’allevamento, adottate da soggetti pienamente dotati della competenza tecnica per comprenderne le conseguenze negative sugli animali». Gli imputati sono stati condannati anche a pagare 2.000 euro alla Cassa delle ammende e a rifondere 3.500 euro di spese legali all’Enpa, altrettante a Lav e Lega per la difesa del cane, e 2.500 euro alla Lega anti vivisezione. «La Cassazione fissa un principio, ovvero che non esistono zone franche, senza limiti di legge - osserva Carla Campanaro, l'avvocato della Lav che con Legambiente si è occupata di affidare i quasi 3 mila beagle sequestrati nel corso delle indagini coordinate dal pm Ambrogio Cassiani -. Dunque non tutto è lecito in allevamento e a fini sperimentali: per la prima volta in Italia in tre gradi di giudizio è stato sancito che questi ambiti di attività hanno dei limiti e, se operano oltre la norma speciale, commettono reato». La motivazione del giudice di primo grado è stata ritenuta dalla Cassazione adeguata e coerente, e quindi insindacabile. Di clamoroso rilievo giuridico - secondo la Lav - l’indicazione delle violazioni riscontrate nelle ispezioni svolte prima dell'avvio dell'inchiesta, che non avevano fatto risultare anomalie nell’allevamento, e che vengono definite dai giudici del tutto inadeguate perché «si svolgevano attraverso il mero disbrigo di pratiche burocratico-amministrative, senza un vero controllo sulle condizioni dei cani». Una ragione in più - secondo la Lav - «per chiedere l’impugnazione della sentenza che il 7 febbraio ha assolto tutti gli imputati del processo Green Hill Bis, tra i quali i medici Ast che avevano il dovere professionale e morale di controllare».

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