Il grazie postumo di un 90enne «Paolo VI mi trovò un lavoro»

di Massimiliano Magli
Pierino Manenti
Pierino Manenti
Pierino Manenti
Pierino Manenti

Enzo Biagi diceva che ci sono due tipi di raccomandazioni. Una la praticava lui stesso, quando, accogliendo un aspirante giornalista in redazione, ne valutava le potenzialità e, se interessanti, lo raccomandava all’editore di turno. Poi c’era la raccomandazione all’italiana, e quella era tutta un’altra cosa. Come Enzo Biagi, ad aggirare il collocatore del lavoro per farsi collocatore di fatto è stato molti anni fa anche un arcivescovo di Milano, divenuto poi papa e infine santo: Giovanni Battista Montini, Paolo VI. Era il 1957, novembre, di San Martino precisamente, quando le famiglie di salariati agricoli tremavano, ancora incerte se poter restare col padrone o dover lasciare (fare San Martino) la cascina per cercare, mobili e corredi sul carretto al seguito, un altro datore di lavoro. E a Ludriano Pierino Manenti la paura ce l’aveva eccome, perché il lavoro nella campagna per i nobili Folonari aveva fatto il suo corso, così che era finito a fare lavoretti per la diocesi di Milano per mantenere la famiglia. OGGI Manenti ha 90 anni. Ha una salute di ferro e, come tutti quelli come lui si lamenta degli acciacchi, al punto di stupirsi del fatto che la vista gli è calata. Ma gli occhi se li tiene meglio degli occhiali (che non porta), al punto che ancora oggi, nella storica osteria Pedrali di piazza Vittoria, a Ludriano, legge senza lenti la Gazzetta dello Sport. Ma torniamo al 1957, anzi, al 1954, quando Pierino conosce il futuro papa, appena diventato arcivescovo di Milano, mentre inaugura insieme al conte Antonio Folonari e al parroco don Angelo Zanni la nuova chiesa di Ludriano: venne finanziata dal conte stesso e la chiesa ebbe come «art director» proprio il futuro pontefice, che andava e veniva da Ludriano con architetti, scultori e pittori. «La chiesa prima era a pochi centinaia di metri a Ovest - spiega Pierino -. Poi arrivò questo prodigio a cui partecipò Montini. I due cavalli dipinti su una parete della parrocchia li conducevo io quando lavoravo la campagna dei Folonari». Tre anni dopo, di cavalli Pierino non ne può più condurre. Il patrimonio dei Folonari è meno sicuro e iniziano le prime vendite. Manenti si deve cercare un lavoro per poter sfamare la famiglia. Arriviamo al 1957. «Ero finito a lavorare per la diocesi a Milano - ricorda -. Facevo mille lavori e un giorno stavo ramazzando l’esterno del duomo. Esce l’arcivescovo Montini, si avvicina e mi dice “Signor Manenti, stasera a Ludriano la aspetta Folonari, si rechi al caseificio“». Arrivato a casa, Pierino trova la moglie, Maria Pè, agitata a ricordargli l’appuntamento. «Erano le 8 di sera, ero sfinito dal lavoro, ma quell’appuntamento non lo potevo proprio ignorare. Così andai al casello dismesso in cui si producevano i formaggi e trovai proprio il conte. Aveva appena riavviato il caseificio con la famiglia varesina Campiotti... Montini nemmeno si aspettava che non l’avrei più rivisto e ne fu anche contrariato, poiché da quel giorno, per 29 anni, ho lavorato quei formaggi che oggi posso definire del papa, anzi del santo». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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