MONTIRONE. Botta e risposta a colpi di numeri e distanze tra gli oppositori al progetto industriale e i promotori che minimizzano l’impatto su popolazione e ambiente

Cava Betulla, il bitumificio fa sempre paura

di Valerio Morabito
L’ingresso della cava Betulla di Montirone
L’ingresso della cava Betulla di Montirone
L’ingresso della cava Betulla di Montirone
L’ingresso della cava Betulla di Montirone

È difficile trovare un’attività industriale che sia a impatto zero sull’ambiente e la salute delle persone, e altrettanto difficile immaginare che il grande bitumificio che dovrebbe nascere nella cava Betulla di Montirone abbia l’effetto di una fioritura di lavanda. Le associazioni ambientaliste stanno lanciando allarmi da mesi, e adesso hanno trovato sponda nel parere di uno che di salute se e intende. E che afferma che a lungo termine l’installazione potrebbe avere conseguenze sulla vita dei cittadini. La considerazione emerge chiara dalle osservazioni sulla componente «salute umana» redatta da Federico Balestreri, un medico di Cremona al quale il circolo di Legambiente «La nostra Terra» ha affidato appunto la stesura di un parere sugli effetti che una produzione di questo tipo potrebbe riversare non solo su Montirone, ma anche su altri paesi tra l’Hinterland e la Bassa. Nel contesto della Valutazione di impatto ambientale del progetto del bitumificio nella cava Betulla, Balestreri ha affermato che «l’inserimento nell’Ate (Ambito territoriale estrattivo) numero 36 di un impianto per conglomerati cementizi per 240 mila tonnellate l’anno e per conglomerati bituminosi per 200 mila tonnellate l’anno può avere effetti a breve e lungo termine sulla salute della popolazione circostante». LE CONSIDERAZIONI di Legambiente e del medico sono state rese pubbliche in seguito alla diffusione dei documenti consegnati alla Provincia dall’impresa Inertis srl che vuole realizzare l’operazione. E dicono che «i calcoli sulle emissioni degli impianti fatti da Inertis sono ampiamente sottostimati, in quanto le valutazioni di emissioni dell’Ate 36 sono state fatte sottraendo quelle storiche degli Ate 20 e 23 che di fatto non sono più attivi da tempo», afferma Balestreri. «In un contesto del genere - prosegue il medico - va ricordato che il centro di Montirone si trova a soli 1500 metri di distanza dal sito, mentre lungo una parte di via Pedrona, a soli 500 metri di distanza, c’è un nucleo abitato da circa 200 persone. L’altezza dei camini descritti nel progetto, circa 15-20 metri, e la velocità di emissione dei fumi non consentirebbero di disperedere gli inquinanti al di sopra dello strato di inversione termica, ovvero tra 100 e 250 metri. Quindi il campo dell’indagine andava esteso al di là di un chilometro dal centro dell’impianto, visto che i gas potrebbero interessare anche la maggior parte dei cittadini di Ghedi, Montirone, Castenedolo, Borgosatollo e Bagnolo Mella». La replica di Inertis? «La nostra richiesta di delocalizzazione è dettata dal fatto che il sito di Montirone è pressochè privo di abitazioni nelle vicinanze (sono presenti solo pochi nuclei abitativi isolati) e, a differenza di quello di Brescia, non è vicino ad asili o case di riposo». NEL TRASLOCO dalla città alla provincia è stata prevista una riduzione della capacità produttiva da circa 2 milioni di tonnellate l’anno a un milione, e se parlando di incidenza sulla mortalità il medico di Cremona evidenzia che «il decesso avviene dopo anni di esposizione agli inquinanti ambientali e va ricordato che secondo l'Oms il 23% delle malattie è ascrivibile a cause ambientali, non il 3 o il 4% come affermato nello studio dell’impresa», Inertis replicato affermando che «dalla valutazione di impatto sanitario il progetto risulta accettabile in quanto viene ridotta la popolazione esposta a eventuali effetti». •

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