Bambina ingoia
un ciondolo,
salvata dalla tata

di LU.CA.
Bimbi a lezione di primo soccorso dai volontari di Verolanuova
Bimbi a lezione di primo soccorso dai volontari di Verolanuova
Bimbi a lezione di primo soccorso dai volontari di Verolanuova
Bimbi a lezione di primo soccorso dai volontari di Verolanuova

Questione di secondi. Sette, otto, forse dieci. Il tempo di accorgersi che qualcosa non va, che la bambina prima tossisce e poi smette di respirare; il tempo di capire che ha ingoiato un ciondolo e di decidere di intervenire. Sette, otto, forse dieci secondi. Attimi che tracciano un confine netto tra una possibile tragedia e un brutto spavento. Questione di sangue freddo, di prontezza. E di dimestichezza con le manovre di disostruzione pediatrica, materia di studio per decine di aspiranti volontari e decisive ieri mattina, a Verolavecchia, nell’evitare il peggio a una bambina di soli due anni. «NON HO PENSATO: ho agito e basta. Solo quando la piccola ha ripreso a respirare, mi sono resa conto del rischio e ho iniziato a tremare», racconta Anita Zorza, 25 anni, di Verolanuova, tata della bimba e operatrice del Gruppo Verolese Volontari del Soccorso. È stata Anita ad accorgersi che aveva ingerito il ciondolo ed era in difficoltà. «Non so se lei si è spaventata. Non ha nemmeno pianto: ha sputato il ciondolo e ha ricominciato a respirare normalmente». Un respiro, più che un sospiro, di sollievo. Ma se al posto di una volontaria soccorritrice ci fosse stata una persona con poca o nessuna pratica delle manovre salvavita? Domanda oziosa, certo, ma che sorge inevitabilmente spontanea. «Non credo di avere fatto nulla di speciale o di straordinario - taglia corto Anita - Questa dovrebbe essere la normalità. E mi auguro che episodi come questo, e come quello accaduto a Offlaga qualche giorno fa - la mamma alla quale era andato di traverso un pezzo di formaggio ed è stata salvata dai due figli di 6 e di 8 anni - facciano riflettere. La formazione è fondamentale, perché certe cose possono succedere a chiunque. Queste pratiche le ho imparate teoricamente, le insegno da volontaria, e ieri mattina, quando è stato il momento di utilizzarle per la prima volta su una persona vera e non su un manichino, sono andata in automatico». Sensibilizzazione e formazione, insomma. Anche a beneficio dei bambini. «Abbiamo un progetto - racconta ancora Anita - che si chiama Orso Soccorso e che è destinato ai più piccoli. È unico in Italia, perché non andiamo noi nelle scuole, ma li facciamo venire in sede per imparare come fanno i grandi. I bambini di Offlaga che hanno salvato la madre sono stati nostri studenti». Per informazioni, la pagina Facebook del Gruppo Verolese o quella Instagram di Orso Soccorso. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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