di Cinzia Reboni
Un frame del filmato acquisito dai giudici del processo a Italcarni
Un frame del filmato acquisito dai giudici del processo a Italcarni
Un frame del filmato acquisito dai giudici del processo a Italcarni
Un frame del filmato acquisito dai giudici del processo a Italcarni

«Guardi che qui parliamo di beni che hanno un valore economico, il veterinario non può vietare la destinazione al consumo umano della carne con tanta leggerezza». È racchiusa nella dichiarazione rilasciata al pm dal funzionario della Ats Mario Pavesi la chiave del processo all’Italcarni di Ghedi, che lo vede imputato con altre 5 persone. Secondo l’accusa, era nel nome del profitto che le vacche venivano sottoposte a indicibili sofferenze prima di essere macellate, ed era per innalzare l’asticella dei guadagni che sul mercato sarebbe stata distribuita carne contaminata dalle feci degli animali.

ASPETTANDO il verdetto, dalla consulenza d’ufficio disposta dalla procura emergono nuovi dettagli che rafforzerebbero l’ipotesi che i maltrattamenti ai bovini fossero una «consolidata pratica aziendale», fenomeno denunciato a livello nazionale da anni dalla Lav. I bovini giunti al mattatoio zoppi o impossibilitati a camminare venivano trascinati sul pavimento per mezzo di catene, corde e trazione con mezzi meccanici. «L’aggancio di arti, a volte già lesionati - si legge nella consulenza redatta da Dario Buffoli e Andrea Soregaroli - aggravava ulteriormente lo stato di sofferenza». Le immagini girate dalle telecamere nascoste piazzate dagli inquirenti nella Italcarni sono eloquenti: capi colpiti a bastonate e calci, o pungolati con forche per indirizzarli verso la camera di macellazione. Vacche stese a terra sospinte brutalmente con il muletto sull’asfalto. E altrettanto eloquente è l’esame delle carcasse che ha evidenziato «moltitudini di lesioni costituite da grossi ematomi, versamenti di sangue nelle masse muscolari, nelle sacche del peritoneo oppure in corrispondenza delle articolazioni», si legge ancora nella perizia. La severità di simili lesioni è, a parere dei consulenti, aggravata perchè ricade su animali già «provati e affetti da vari patologie». I bovini, «esseri senzienti, non in grado di poter fuggire dalle sofferenze, sono stati sottoposti ad uno stato di malessere psichico oltre che fisico».

I maltrattamenti, sempre secondo l’accusa, sarebbero all’origine della contaminazione delle carni: le ferite sarebbero state infettate dalle feci perse copiosamente a causa della paura e dello stress dai bovini. «L’approfondimento della contaminazione batterica sulle carni campionate ha rilevato la presenza, quasi costante, di agenti patogeni per l’uomo, in quanto provocano tossinfezioni alimentari acute». Che la carne proveniente da Ghedi dovesse essere distrutta, lo ribadiscono i referti dell’istituto che effettuò le analisi per conto della procura: «È stata trovata anche salmonella molto rara sulle carni bovine, che hanno dunque avuto contatto con le feci. Le analisi sui campioni congelati hanno rivelato cariche batteriche pazzesche, nonostante le basse temperature abbattano di molto il fenomeno di contaminazione».

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